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Da Minturno a Minturno

Marica ed il Fauno

…Nel vento che gli rievoca distintamente l’odore del suo mare, Notari dipinge quel vero che ha più vita se ferve nell’universo a dondolo che prolunga il suo tempo dietro le facciate più conclamate.

Il lungomare ha grandi alberghi adorni di bandiere festose; i vicoli di Santa Lucia e del Monte di Dio hanno i panni stesi al sole: oscillano anche nella memoria di chi vi ha transitato da studente, avendo in cuore occhi di fanciulle che chiariscono il discorso con uno sguardo, fiere, magiche come le loro antenate.

Il problema è tutto lì: cambiano le bandiere, si cresce nei disagi dell’Europa dei popoli, si intrecciano varie razze, si riducono i frutti del lavoro onesto, gli approdi si precisano come interrogativi: che avverrà? Le madri e le loro figlie guardano nella medesima direzione, ma sono ben diversi i frutti goduti dalle generazioni in successione.

Sbiadiscono le antiche usanze, i motori fanno amare la velocità, il tempo rende fiochi i suoni, i nuovi modelli da amare sono improponibili all’etica comportamentale. Meno sudore e più croci, forse incalza la morte prematura tra giovani senza cultura della legalità, anonimi nel disamore che cerca eccitanti per essere feroce e sogni che si acquistano perché diventino incubo di assuefazione

Notari dipinge grumi di città nel vento, che scioglie il grigiore e invita a guardare nel sole, e spazi silenti dove gli onnipresenti oscilla, bandiere domestiche, talvolta infittite di tifoseria aggregante, si afflosciano. La noia pendula, inerte di vessilli anonimi si assimila alle labbra serrate, agli occhi stanchi….

Da Minturno a Minturno

La storia, specie se si perde nella notte dei tempi, e il mito, che transita nella memoria come esperienza del sacro vissuto, ben diversamente sono investigati dallo studioso che si avvale di fonti certe, metodologie e strumenti atti a consentire al presente di leggere più acutamente il passato, e dall’artista che reintegra il tempo documentato con la chiaroveggenza del suo fervore creativo.

Rievocazione e interpretazione convergono in uno spazio ierofanico che a prima vista sembra coincidere con quello geografico, nel quale metamorfosi naturali e interventi umani, vale a dire alterne vicende di fasti, distruzioni belliche, ricostruzioni e dissennatezze consumistiche, si ostinano a imperversare, ma non è così. Notari ha appreso i luoghi sacri della Città celebrata da tempi antichissimi; ha goduto delle conoscenze acquisite e, in avvertita riconoscenza, ha inteso restituire a Minturno quanto ha recepito nel cuore e nella mente dalla magnificenza dei luoghi sacri, celebrati per culti divini e per eroiche umane imprese, oltre che per la civiltà del lavoro.

“Da Minturno a Minturno” si configura come un vero e proprio dono e ci piace accompagnarlo con quella formula augurale che suona: “Sit gratum donum sicut libenter datum”: i quattro teleri si prospettano per una lettura circolare, e vale la pena soffermarsi sull’opera in cui si confrontano due volti di una terra vissuta tra passato non lontano e presente che s’infutura.

Due donne fiorenti danno il senso del raccordo tra memoria contadina e adattamento a più concrete esigenze nel nostro tempo dell’incertezza. La mietitrice evocata ostenta la roncola, sua arma da lavoro, la brocca di creta che contiene l’acqua per combattere l’arsura, il panno ritorto che alleviava il dolore causato dai pesi portati sulla testa. Stringe al petto i frutti del lavoro: li ha attesi lungo stagioni di speranza. Mondo perduto il suo, perché più non si ragiona degli utensili che per lei erano preziosi. I più celebrati dizionari della nostra povera lingua non fanno più memoria dei nomi di tanti oggetti reperibili solo nei musei contadini. Un carretto carico di ricordi separa le due donne: altre ruote più celeri si sono sostituite a quelle affidate alle bestie da soma.

Nell’opera dedicata a Caio Mario che cerca rifugio nelle paludi ritroviamo sullo sfondo in alto le 150 arcate superstiti dell’acquedotto romano. Quante memorie restano della presenza di Roma repubblicana e imperiale: i Fori, i portici, le fontane, le fognature, il teatro… All’artista che sceglie di far percepire visivamente il brivido della paura, la miseria del potente nel momento dell’abbandono e della fuga, parlo di Mario che emerge dal fango di un canneto, tornano alla mente la seconda guerra sannitica, Minturno come sede dei coloni, la valorizzazione del porto fluviale prima ancora delle vicende che videro nell’88 a.C. Mario proscritto, terrorizzato, vittima dell’alterna onnipotenza delle umane sorti, in un momento difficile della guerra civile.

Quando poi fa incontrare Marica e Fauno, Notari inventa forme solari in vaporanti respiri cromatici alla confluenza dei due fiumi divini. La ninfa nella sua epifania suscita meraviglia ed è a sua volta sorpresa dalle sue visioni interiori. Fauno intanto è attratto dal melograno, significativo della bellezza perfetta che vince gli istinti e invita alla contemplazione. Fauno, signore della profezia, e intanto non propenso agli oracoli, è vinto d’amore, ora che la divina antica signora delle acque si potrà congiungere alle terre di cui egli desidera la fertilità. Non è egli forse custode dei boschi e della sapienza dell’agricoltura? Anche in quest’opera l’artista invita a conciliare natura e cultura che nel nostro tempo appaiono irrimediabilmente separate.

Nell’opera dedicata alla Pace, il territorio di Minturno si configura come spazio rievocativo. Il protagonista in primo piano è guerriero che appartiene a varie epoche, indossa residui d’armature antiche e divise mimetiche che al presente sono riconoscibili nelle odiose guerre guerreggiate. Tra desiderio di tregua delle armi e rievocazione, diventano metafore d’altri segnali la spada, la lancia diventata bastone del pastore, l’acqua lustrale, il ricordo del sangue versato, l’elmo sempre vano.

La pittura prospetta un’atmosfera solenne, meditativa, forte del silenzio del pensiero che associa un luogo d’infinita bellezza naturale ad un destino di campo di battaglia data la posizione strategica. Dai popoli italici esuli in cerca di spazi abitativi, agli ausoni, agli eventi della seconda guerra punica, in cui Minturno si allea ai Sanniti, le terre dei boschi e dei fiumi confluenti al mare ebbero vita non facile. Il pensiero rievoca le colonie dei cittadini romani, il porto fluviale, la fortuna della città nel periodo imperiale, la distruzione dovuta alla ferocia dei Longobardi nel 590, le epidemie che indussero a trasferire più in alto gli insediamenti abitativi, guerra anche quella, che nella nuova denominazione Traetto ricorda a Minturno l’importanza dei trasporti fluviali.

Notari allude nella sua fantasia evocativa alla battaglia contro i Saraceni, vinta dalla Lega presieduta da Papa Giovanni X, a tutti i teatri di guerra che videro Minturno distrutta dagli Ungheri, alle lotte feudali, ai domini dei nobili dell’Aquila e dei Colonna, alla battaglia vinta dagli Spagnoli sui Francesi nel 1503, a quella tra Cialdini e i Borboni il 29 ottobre del 1860 e depreca tutte le guerre, quelle combattute con le armature e a cavallo e quelle con le mitraglie e i carri cingolati. Auspica per Minturno, e per il mondo, quella serena pace che fa fiorire la vita civile nel culto del lavoro e dell’amore per la terra natia, sempre cara a chi vi lascia il cuore.

Insomma “Da Minturno a Minturno” Antonio Notari si rivela innamorato di un luogo sacro, con il suo Genius, con la memoria di Marica e di Fauno ai quali ha voluto dedicare, mai immemore della loro sorte per sempre condivisa, una cartella di quattro incisioni di forte valenza.

Marica e Fauno

Marica

L’artista si è immedesimato in Fauno che inventa, cioè scopre, la Ninfa e incontrandola se ne innamora.
È lei il suo sogno; a lei delega ogni potere: le si pone innanzi quasi a farle scudo e assicurarle protezione. La Ninfa è più in alto del dio che, fissando gli occhi in quelli di chi lo sta a guardare, lo invita a rivolgersi alla divina signora del Liri e del Garigliano alla loro confluenza. Fauno indica la sua amata e la riconosce soccorritrice per chi la venera devotamente. Fauno non ha bisogno di rivolgerle lo sguardo; i suoi occhi sono colmi della bellezza della sua compagna, con la quale si confonde nella felicità della corrente che porta al mare non solo i fiumi, ma anche ogni storia d’amore che si eterna come tutte quelle fatte di sogni e d’imperitura armonia.

Il Fauno

Ha la bellezza saturnina che lo identifica erede di suo padre mitico signore delle vagheggiate età felici, tutte d’oro, quelle dell’eterno rimpianto. È fiero, incoronato come sovrano dei boschi e delle coltivazioni. È scaltro, sensuale, rapido nelle intuizioni: conosce la vita in cui nulla accade senza contaminazioni. Agli occhi di Marica appare vitalissimo, fiero, vinto d’amore, degno d’esserle accanto nelle meraviglie della natura come nel segreto del Tempio in cui è venerata custode delle madri che chiedono per i loro nascituri salute, bellezza, felicità.

Il melograno e il chiodo

Fluisce a gronda un velo d’acqua e veste di vita germinativa l’eterna fanciulla che Fauno ha incoronato di mitiche fronde.

È fulgente nel suo splendore, pensosa come tutte le creature che sanno le stagioni e i transiti dalla magnificenza degli anni solari all’arco declino e perciò è custode del frutto della bellezza feconda, che nel melograno ritrova il ventre ricco di semi di vitalissima trasparenza e del chiodo, che fin dalle arcaiche cosmologie indicava l’axis mundi e poi divenne saldo riferimento di voto esaurito. Chi si rivolge a Marica ha certezza di aver bene infisso il “chiodo” delle sua invocazione.

Le dea sicuramente risponderà. La suggestione del chiodo ci fa pensare alla nostra preghiera, pre-ghiera, spiedo d’amore che pungola prima che si chieda d’essere esauditi.

L’italica divinità pensosa

L’artista ha velato d’acqua e connotato di una tipologia decisamente campano-laziale l’eterna Marica imbronciata, ancora più bella quando ad occhi aperti insegue i suoi sogni nei turbamenti che accompagnano gli anni dell’adolescenza.

Marica guarda al presente e al futuro. Riflette e desidera. Così deve essere, perché è importante ricordare mentre fiorisce la speranza. Chi disimpara a sperare, si smemora definitivamente. È il monito che Notari propone ai figli di Minturno: siano saldi e gelosi custodi del loro patrimonio immercificabile.

Angelo Calabrese

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